PHANTASIA |
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Giovanni Grano |
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Discografia |
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DAVID KELLNER (1670-1749) 1. Phantasia D dur (Trascr. G.
Grano) MAURO GIULIANI (1781-1829) Due Giulianate dall'op. 148: 7. Grande Ouverture op. 61 (Andantino sostenuto - Allegro Maestoso) HEITOR VILLA-LOBOS (1887-1959) Suite Populaire Brésilienne: MANUEL DE FALLA (1876-1946) 13. Homenaje "pour le tombeau de Debussy" JOAQUIN TURINA (1882-1949) Durata totale: |
8:52
4.03
3.21
5.05 65.59 |
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© & (P) 1999 Symposium s.n.c, Trento - Italia Prodotto da Marcello Defant per Symposion Registrazione e montaggio
di Leonardo Gallucci In copertina: "Metamorfosi della chitarra" di Mikhail Aschkotov (1996) Prefazione di Angelo Gilardino |
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Dalle note di Angelo Gilardino. "PHANTASIA" inizia con una significativa scelta antologica dalle opere di un grande compositore di musica per liuto. David Kellner, membro di una famiglia di musicisti tedeschi che vanta due rami importanti, nacque a Lipsia intorno al 1670 e morì a Stoccolma nel 1748. Fu musicista e poeta e, nella movimentata - talvolta turbolenta - parabola della sua esistenza, passò anche per studi di giurisprudenza e per la carriera militare. Fu valente organista e carillonneur e come tale ottenne all'inizio del 1711 un incarico presso la chiesa di san Giacomo a Stoccolma. In tal modo la sua attività di musicista avrebbe avuto definitivamente il sopravvento sulle altre. Kellner, sempre inquieto, non mancò di intraprendere un tentativo di andarsene da Stoccolma e di entrare nell'amministrazione pubblica. Per sua fortuna, non vi riuscì e rimase nella capitale svedese fino alla morte. Mantenne tuttavia regolari contatti con la Germania e, nel 1732, pubblicò ad Amburgo, presso Kissner, un metodo per la realizzazione del basso continuo la cui seconda edizione si sarebbe fregiata di una prefazione di Georg Philipp Telemann. All'ultimo periodo della sua vita risale la pubblicazione dei suoi pezzi per liuto (Amburgo, presso Brandt, 1747). Tuttavia, la fonte più accreditata della sua opera liutistica è il manoscritto custodito nella Biblioteca Universitaria di Wroclaw. Rispetto alla straripante prolificità di un Weiss, le diciassette composizioni per liuto di Kellner non sembrano molte, ma occorre considerare il fatto che il musicista, a differenza di Weiss, non si dedicò principalmente al liuto, di cui dovette comunque dominare la tecnica dall'alto di una conoscenza senza limiti. La sua opera appare oggi come uno dei picchi solitari nell'epoca dell'estrema sopravvivenza dello strumento. La straordinaria impronta di vigore e di versatilità che il compositore seppe conferire alla sua musica liutistica risalta nelle tre fantasie di questo programma. Nella diversa ispirazione che le pervade, esse toccano con grande eloquenza e libertà sia lo stile di derivazione vocale, con intensi recitativi, sia lo stile virtuosistico della toccata, con invenzioni strumentali di notevole audacia e di piacevolissima sonorità: forse, sono questi i momenti in cui la brillantezza policroma della chitarra si fa preferire alla dizione più compassata del liuto barocco. La quarta composizione offerta dal programma (Aria) sembra invece rivelare una propensione italiana, con la sua aperta e limpida cantabilità. Il 31 luglio 1827, Mauro Giuliani scrive da Napoli al suo editore viennese Domenico Artaria offrendogli sei composizioni per la somma - allora certo ragguardevole - di 800 fiorini. Dal 1819, il grande maestro della chitarra ha forzatamente abbandonato Vienna - la città che gli ha dato fama e agiatezza - e le sue lettere ad Artaria, amico oltre che editore, rivelano un'ansia quasi struggente di ritornare nella capitale austriaca e di rioccuparvi quel ruolo privilegiato che le sue eccezionali doti di musicista e la sua simpatia personale gli avevano fatto meritare nei tredici anni dei suo soggiorno. E' naturale che l'artista attribuisca alle sue composizioni da stampare a Vienna, non soltanto il cospicuo valore commerciale di cui la sua richiesta ad Artaria costituisce misura eloquente (Giuliani era tra i compositori meglio pagati della sua epoca), ma anche la speranza di mantenere vivo nel mondo musicale e in tutta la società viennese, tramite la pubblicazione delle sue opere, il suo prestigio. Non vivrà abbastanza per realizzare il suo sogno di reintegrarsi nel mondo che l'aveva riconosciuto e anche vezzeggiato: morirà infatti l'anno seguente (1829), a soli quarantotto anni, nella capitale di quel Regno di Napoli da cui era fuggito giovanissimo in cerca di riconoscimenti per la sua arte di chitarrista e di compositore. Ebbene, l'ultima composizione dell'elenco di offerte inviato ad Artaria è proprio l'opera 148, che nella lettera viene chiamata "Ultimi Capricci Giulianeschi". Impossibile non cogliere in quell'aggettivo "ultimi" - anche se verosimilmente adoperato dal compositore soltanto per definire una sua opera appena composta - quasi un presentimento di morte. Artaria accetta soltanto due delle composizioni offertegli da Giuliani e annuncia la pubblicazione dell'opera 148 nella Wiener Zeitung del mese di settembre dello stesso 1828. li titolo viene cambiato in Giulianate/ contenenti/varie idee sentimentali/per chitarra sola. La raccolta è costituita da otto pezzi di una certa ampiezza: La Risoluzione, Lo Scherzo, L'Amoroso, Giocoso, L'Armonia, Il Sentimentale, La Melanconia, L'Allegria. E' certamente uno dei capolavori di Giuliani, una sorta di autoritratto in cui il musicista versa il meglio della sua arte: la scorrevolezza melodica, l'eleganza armonica, la perfezione formale e lo splendore di una retorica chitarristica a quell'epoca senza pari. Moderate nello sviluppo della virtuosità che altrove Giuliani ha felicemente ricercato, le Giulianate rappresentano il lato più sapientemente composito e ricercato dello stile dell'autore. In questo programma figurano due degli otto brani della raccolta: La Melanconia, in la minore, sorta di aria fiorita nel ritmo di un Andantino che conferisce alla pensosità dei brano una leggerezza graziosa, e L'Amoroso, brano più complesso, sia formalmente che sul piano drammatico, ove si oppone alla freschezza della melodia in re maggiore della sezione principale (poi ripresa nella consueta forma ternaria) una seconda melodia - adombrata in una trama di arpeggi - in re minore, tutta in penombra: e in tale opposizione certamente si realizza l'aspetto Sentimentale promesso dal titolo. Di tutt'altra impronta è la Grande
Ouverture op. 61, la prima delle composizioni di Giuliani pubblicata in
Italia. Fu Giovanni Ricordi infatti, nel 1814, ad annettersi la proprietà -
allora certamente molto ambita - di uno dei capolavoro del
chitarrista-compositore che, di quei tempi, trionfava a Vienna, e le cui opere
erano ben accolte nei cataloghi dei più importanti editori della capitale
dell'impero. Ricordi stampò la composizione di Giuliani intitolandola in
francese e dedicandola a Monsieur Louis Agliati: non occorre insinuare malizia
per supporre che l'Agliati sia stato lusingato dall'astuto editore e indotto ad
assumersi l'onere della commissione in cambio della dedica... Data la geniale
bizzarria dell'autore, che rilasciò dichiarazioni contrastanti persino sulla
sua data di nascita, risulta difficile ricostruire la cronologia delle
composizioni di Heitor Villa-Lobos, e la Suite Populaire Brésilienne per
chitarra non fa eccezione alla regola dell'incertezza. Secondo Villa-Lobos, la
composizione risale al periodo 1910-1912, e incorpora la Mazurka composta
ancor prima, intorno al 1908, ma il brano conclusivo, Chôrinho,
è stato aggiunto nel 1923. Comunque sia, Villa-Lobos firmò il contratto di
edizione della Suite Populaire insieme a quello delle Douze Etudes
con l'editore parigino Max Eschig nel gennaio del 1929. La Revue Musicale,
rivista parigina diretta da Henri Prunières, intitolò Le Tombeau de Debussy
un suo numero dei 1920, nel quale alcuni compositori pubblicavano articoli
scritti per ricordare il grande Claude Achille. Manuel de Falla partecipò non
soltanto con un succoso e stimolante saggio intitolato Claude Debussy et l'Espagne,
ma anche consegnando alle stampe il suo capolavoro chitarristico, scritto per
l'occasione e intitolato Homenaje. Datato "Granada, 8/20", il
brano fu in realtà composto a Madrid, ma possiamo comprendere come Falla
volesse sottolineare l'origine andalusa del brano e la sua relazione con il
pezzo pianistico debussiano La soirée dans Grenade, un motivo del quale
- come udito in lontananza - affiora a conclusione dell'Homenaje. Dopo la
pubblicazione commemorativa nella rivista parigina, il pezzo di Falla sarebbe
apparso nella rivista argentina La Guitarra, controllata dal padre di
Maria Luisa Anido, in una versione non impeccabile, pubblicata nel 1923. Questa
edizione - che forse non era del tutto legale - è comunque importante perché
recita, sotto un titolo spurio (Homenaje a Debussy), una delle tipiche,
orgogliose rivendicazioni in cui s'impennava talvolta il mite e rinunciatario
Miguel Llobet: "Esta obra fué compuesta y escrita directamente para
guitarra por el ilustre maestro español, y especialmente para el gran artista
de la guitarra Miguel Llobet, cuya primera audición le fué reservada".
Affermazione non priva di rischi, perché Falla scrisse invece il brano in
seguito alla richiesta di un musicologo che non aveva nulla da spartire con la
chitarra e che, dovendo programmare la prima esecuzione del pezzo, invece di
affidarla a Llobet, si servì di Marie-Louise Casadesus, che presentò il brano
il 14 gennaio 1921 a Parigi: il fatto è che madame Casadesus non suonava
affatto la chitarra, ma l'arpoliuto! [...] |
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