PHANTASIA

Giovanni Grano

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Phantasia
Autumnal

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Archivio fotografico

Paganini Sonatas

 

DAVID KELLNER (1670-1749)

1. Real Audio RM Phantasia D dur (Trascr. G. Grano)
2.
Real Audio RM Phantasia A moll (Trascr. G. Grano)
3.
Real Audio RM Phantasia A dur (Trascr. G. Grano)
4.
Real Audio RM Aria (Largo) (Trascr. G. Grano)

MAURO GIULIANI (1781-1829)

Due Giulianate dall'op. 148:
5. La melanconia (Andantino)
6. L'amoroso (Grazioso)

7. Real Audio RM Grande Ouverture op. 61 (Andantino sostenuto - Allegro Maestoso)

HEITOR VILLA-LOBOS (1887-1959)

Suite Populaire Brésilienne:
8.
Real Audio RM Mazurka-Chôro
9.
Real Audio RM Scottish-Chôro (Modèrè)
10.
Real Audio RM Valsa-Chôro (Valsa lenta)
11.
Real Audio RM Gavota-Chôro (Allegretto moderato)
12.
Real Audio RM Chôrino (Lent)

MANUEL DE FALLA (1876-1946)

13. Real Audio RM Homenaje "pour le tombeau de Debussy"

JOAQUIN TURINA (1882-1949)

14. Real Audio RM Fandanguillo op.36

Durata totale:


4.04
3:20
3:55
3:05



3:13
5:45

8:52


 

4.03
3.58
5:16
5:51
5.35

 

3.21

 

5.05

65.59

© & (P) 1999 Symposium s.n.c, Trento - Italia

Prodotto da Marcello Defant per Symposion

Registrazione e montaggio di Leonardo Gallucci
(marzo 1999, Anguillara Sabazia - Roma)
Stampato a Salisburgo (Austria) presso Sony DADC
Fotografie di Anthony Tocci (New York, 1999) / Gian Butturini (Brescia, 1996)
Musiche eseguite su una chitarra di Kolya Panhuyzen, (Toronto, 1994)
Corde RC Strings


In copertina: "Metamorfosi della chitarra" di Mikhail Aschkotov (1996)

Prefazione di Angelo Gilardino

 

Giovanni Grano, 1999


Dalle note di Angelo Gilardino.

"PHANTASIA" inizia con una significativa scelta antologica dalle opere di un grande compositore di musica per liuto. David Kellner, membro di una famiglia di musicisti tedeschi che vanta due rami importanti, nacque a Lipsia intorno al 1670 e morì a Stoccolma nel 1748. Fu musicista e poeta e, nella movimentata - talvolta turbolenta - parabola della sua esistenza, passò anche per studi di giurisprudenza e per la carriera militare. Fu valente organista e carillonneur e come tale ottenne all'inizio del 1711 un incarico presso la chiesa di san Giacomo a Stoccolma. In tal modo la sua attività di musicista avrebbe avuto definitivamente il sopravvento sulle altre. Kellner, sempre inquieto, non mancò di intraprendere un tentativo di andarsene da Stoccolma e di entrare nell'amministrazione pubblica. Per sua fortuna, non vi riuscì e rimase nella capitale svedese fino alla morte. Mantenne tuttavia regolari contatti con la Germania e, nel 1732, pubblicò ad Amburgo, presso Kissner, un metodo per la realizzazione del basso continuo la cui seconda edizione si sarebbe fregiata di una prefazione di Georg Philipp Telemann. All'ultimo periodo della sua vita risale la pubblicazione dei suoi pezzi per liuto (Amburgo, presso Brandt, 1747). Tuttavia, la fonte più accreditata della sua opera liutistica è il manoscritto custodito nella Biblioteca Universitaria di Wroclaw. Rispetto alla straripante prolificità di un Weiss, le diciassette composizioni per liuto di Kellner non sembrano molte, ma occorre considerare il fatto che il musicista, a differenza di Weiss, non si dedicò principalmente al liuto, di cui dovette comunque dominare la tecnica dall'alto di una conoscenza senza limiti. La sua opera appare oggi come uno dei picchi solitari nell'epoca dell'estrema sopravvivenza dello strumento. La straordinaria impronta di vigore e di versatilità che il compositore seppe conferire alla sua musica liutistica risalta nelle tre fantasie di questo programma. Nella diversa ispirazione che le pervade, esse toccano con grande eloquenza e libertà sia lo stile di derivazione vocale, con intensi recitativi, sia lo stile virtuosistico della toccata, con invenzioni strumentali di notevole audacia e di piacevolissima sonorità: forse, sono questi i momenti in cui la brillantezza policroma della chitarra si fa preferire alla dizione più compassata del liuto barocco. La quarta composizione offerta dal programma (Aria) sembra invece rivelare una propensione italiana, con la sua aperta e limpida cantabilità.

Il 31 luglio 1827, Mauro Giuliani scrive da Napoli al suo editore viennese Domenico Artaria offrendogli sei composizioni per la somma - allora certo ragguardevole - di 800 fiorini. Dal 1819, il grande maestro della chitarra ha forzatamente abbandonato Vienna - la città che gli ha dato fama e agiatezza - e le sue lettere ad Artaria, amico oltre che editore, rivelano un'ansia quasi struggente di ritornare nella capitale austriaca e di rioccuparvi quel ruolo privilegiato che le sue eccezionali doti di musicista e la sua simpatia personale gli avevano fatto meritare nei tredici anni dei suo soggiorno. E' naturale che l'artista attribuisca alle sue composizioni da stampare a Vienna, non soltanto il cospicuo valore commerciale di cui la sua richiesta ad Artaria costituisce misura eloquente (Giuliani era tra i compositori meglio pagati della sua epoca), ma anche la speranza di mantenere vivo nel mondo musicale e in tutta la società viennese, tramite la pubblicazione delle sue opere, il suo prestigio. Non vivrà abbastanza per realizzare il suo sogno di reintegrarsi nel mondo che l'aveva riconosciuto e anche vezzeggiato: morirà infatti l'anno seguente (1829), a soli quarantotto anni, nella capitale di quel Regno di Napoli da cui era fuggito giovanissimo in cerca di riconoscimenti per la sua arte di chitarrista e di compositore. Ebbene, l'ultima composizione dell'elenco di offerte inviato ad Artaria è proprio l'opera 148, che nella lettera viene chiamata "Ultimi Capricci Giulianeschi". Impossibile non cogliere in quell'aggettivo "ultimi" - anche se verosimilmente adoperato dal compositore soltanto per definire una sua opera appena composta - quasi un presentimento di morte. Artaria accetta soltanto due delle composizioni offertegli da Giuliani e annuncia la pubblicazione dell'opera 148 nella Wiener Zeitung del mese di settembre dello stesso 1828. li titolo viene cambiato in Giulianate/ contenenti/varie idee sentimentali/per chitarra sola. La raccolta è costituita da otto pezzi di una certa ampiezza: La Risoluzione, Lo Scherzo, L'Amoroso, Giocoso, L'Armonia, Il Sentimentale, La Melanconia, L'Allegria. E' certamente uno dei capolavori di Giuliani, una sorta di autoritratto in cui il musicista versa il meglio della sua arte: la scorrevolezza melodica, l'eleganza armonica, la perfezione formale e lo splendore di una retorica chitarristica a quell'epoca senza pari. Moderate nello sviluppo della virtuosità che altrove Giuliani ha felicemente ricercato, le Giulianate rappresentano il lato più sapientemente composito e ricercato dello stile dell'autore. In questo programma figurano due degli otto brani della raccolta: La Melanconia, in la minore, sorta di aria fiorita nel ritmo di un Andantino che conferisce alla pensosità dei brano una leggerezza graziosa, e L'Amoroso, brano più complesso, sia formalmente che sul piano drammatico, ove si oppone alla freschezza della melodia in re maggiore della sezione principale (poi ripresa nella consueta forma ternaria) una seconda melodia - adombrata in una trama di arpeggi - in re minore, tutta in penombra: e in tale opposizione certamente si realizza l'aspetto Sentimentale promesso dal titolo.

Di tutt'altra impronta è la Grande Ouverture op. 61, la prima delle composizioni di Giuliani pubblicata in Italia. Fu Giovanni Ricordi infatti, nel 1814, ad annettersi la proprietà - allora certamente molto ambita - di uno dei capolavoro del chitarrista-compositore che, di quei tempi, trionfava a Vienna, e le cui opere erano ben accolte nei cataloghi dei più importanti editori della capitale dell'impero. Ricordi stampò la composizione di Giuliani intitolandola in francese e dedicandola a Monsieur Louis Agliati: non occorre insinuare malizia per supporre che l'Agliati sia stato lusingato dall'astuto editore e indotto ad assumersi l'onere della commissione in cambio della dedica...
La Grande Ouverture è l'emblema più potente di quell'aspetto dell'arte di Giuliani che si identificava nell'eloquenza. La solenne introduzione in la minore induce l'ascoltatore a un'attenzione intimorita, dopodiché, con una tipica svolta rossiniana, irrompe l'Allegro in la maggiore, con la sua baldanzosa eleganza e con le sue folate di sano, vitale virtuosismo. E', quella di Giuliani nella Grande Ouverture, una chitarra che seduce e abbaglia, ma senza mai scadere da un aristocratico senso della forma: all'analisi, infatti, non soltanto l'impianto sonatistico dell'esposizione e della ripresa figura in tutta la sua solidità, ma emergono anche sottili legami e velate affinità di struttura tra il primo e il secondo tema e persino tra i medesimi e il disegno dell'episodio centrale che, se elude i materiali tematici dell'esposizione, li sa però ricordare con una delicata rassomiglianza di fondo. Il vasto epilogo conclusivo, che inizia con un'evocazione chitarristica di una rullata di timpani, è un rutilante fuoco d'artificio di luminosa bellezza sonora.

Data la geniale bizzarria dell'autore, che rilasciò dichiarazioni contrastanti persino sulla sua data di nascita, risulta difficile ricostruire la cronologia delle composizioni di Heitor Villa-Lobos, e la Suite Populaire Brésilienne per chitarra non fa eccezione alla regola dell'incertezza. Secondo Villa-Lobos, la composizione risale al periodo 1910-1912, e incorpora la Mazurka composta ancor prima, intorno al 1908, ma il brano conclusivo, Chôrinho, è stato aggiunto nel 1923. Comunque sia, Villa-Lobos firmò il contratto di edizione della Suite Populaire insieme a quello delle Douze Etudes con l'editore parigino Max Eschig nel gennaio del 1929.
Certamente, il limpido classicismo della scrittura chitarristica della Suite Populaire non offre nessuna delle folgoranti intuizioni proprie degli Studi, ed è quindi certo - anche dal punto di vista dell'esame stilistico - che la Suite rappresenta l'opera prima di Villa-Lobos per chitarra. Le prime quattro danze sono concepite nella forma del rondò settecentesco, ossia con tre esposizioni del ritornello e con due strofe e, insieme alla forma, proviene dai modelli europei anche il taglio ritmico della Mazurka, dello Scottish, della Valsa e della Gavota. La loro contaminazione con il genere musicale del Ch
ôro - una sessione di improvvisazione musicale tra esecutori che si incontrano nei locali o addirittura nelle strade di Rio de Janeiro - è uno dei colpi di genio di Villa-Lobos, che proprio nella Suite Populaire Brésilienne riesce a operare una fusione naturalissima, senza traccia di stratificazione, tra gli archetipi remoti e la palpitante freschezza della sua ispirazione. Si passa così - in un gusto carioca elevato dalla straordinaria invenzione dell'autore - dalla melanconia della Mazurka-Choro alla gaiezza spensierata e volutamente superficiale, da café chantant, dello Scottish-Choro, dall'intensa saudade della Valsa-Choro alla dolcezza un poco leziosa della Gavota-Choro. Questa è la musica per chitarra di un Novecento pre-segoviano che Villa-Lobos anima dall'alto della sua generosa ispirazione e della sua camaleontica abilità di assimilatore dello stile dei maestri del classicismo chitarristico ottocentesco. A conclusione della Suite Populaire, l'autore appone a distanza di almeno undici anni il colorito Chorinho, sorta di evocazione carnevalesca, piuttosto lontano dagli umori e dallo stile delle quattro danze precedenti, vivo di un'energia ribollente e di un gusto tra l'amarognolo e il ridanciano che ne fanno uno dei pezzi più difficili per l'interprete e per l'ascoltatore.

La Revue Musicale, rivista parigina diretta da Henri Prunières, intitolò Le Tombeau de Debussy un suo numero dei 1920, nel quale alcuni compositori pubblicavano articoli scritti per ricordare il grande Claude Achille. Manuel de Falla partecipò non soltanto con un succoso e stimolante saggio intitolato Claude Debussy et l'Espagne, ma anche consegnando alle stampe il suo capolavoro chitarristico, scritto per l'occasione e intitolato Homenaje. Datato "Granada, 8/20", il brano fu in realtà composto a Madrid, ma possiamo comprendere come Falla volesse sottolineare l'origine andalusa del brano e la sua relazione con il pezzo pianistico debussiano La soirée dans Grenade, un motivo del quale - come udito in lontananza - affiora a conclusione dell'Homenaje. Dopo la pubblicazione commemorativa nella rivista parigina, il pezzo di Falla sarebbe apparso nella rivista argentina La Guitarra, controllata dal padre di Maria Luisa Anido, in una versione non impeccabile, pubblicata nel 1923. Questa edizione - che forse non era del tutto legale - è comunque importante perché recita, sotto un titolo spurio (Homenaje a Debussy), una delle tipiche, orgogliose rivendicazioni in cui s'impennava talvolta il mite e rinunciatario Miguel Llobet: "Esta obra fué compuesta y escrita directamente para guitarra por el ilustre maestro español, y especialmente para el gran artista de la guitarra Miguel Llobet, cuya primera audición le fué reservada". Affermazione non priva di rischi, perché Falla scrisse invece il brano in seguito alla richiesta di un musicologo che non aveva nulla da spartire con la chitarra e che, dovendo programmare la prima esecuzione del pezzo, invece di affidarla a Llobet, si servì di Marie-Louise Casadesus, che presentò il brano il 14 gennaio 1921 a Parigi: il fatto è che madame Casadesus non suonava affatto la chitarra, ma l'arpoliuto!
Ad ogni modo, i diritti dell'Homenaje appartenevano alla casa Chester, che nel 1926 pubblicò la versione commerciale della composizione - e qui indubbiamente Llobet ebbe un riconoscimento, perché furono la sua revisione e la sua diteggiatura ad ottenere gli onori della pubblicazione.

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